La Costituzione siamo noi | Rocco Artifoni

La Costituzione siamo noi | Rocco Artifoni

Bergamo, 3 Luglio 2014 | di Rocco Artifoni

La Costituzione siamo noi

A scuola non ricordo di aver mai studiato la Costituzione. Forse sono stato uno studente distratto o forse non ho avuto insegnanti all’altezza della professione. 
Fatto sta che la Costituzione me la sono trovata tra le dita qualche anno dopo, cercando di mettere in fila le normative per l’abolizione delle barriere architettoniche. Da allora il secondo comma dell’art. 3 è rimasto scolpito nei miei pensieri: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che…”. Per me è stato un faro, un punto di riferimento costante, un criterio valutativo imprescindibile. E non è stata soltanto una rivendicazione nei confronti delle Istituzioni, che spesso purtroppo non sono state all’altezza del compito loro assegnato, ma anche e forse soprattutto un’assunzione di responsabilità. Sono convinto che non possiamo stare ad aspettare che gli enti pubblici facciano la loro parte, ma occorre innanzi  tutto che ciascuno di noi eserciti una cittadinanza attiva. Contribuire ad eliminare quegli ostacoli è compito anche mio, anzi nostro. Soltanto così possiamo “pretendere” che anche i rappresentanti della Repubblica lo facciano. E se non lo fanno, è giusto denunciarli, poiché è in gioco la libertà di tutti, anzi di ciascuna persona, che la Costituzione riconosce e tutela come valore supremo, antecedente allo Stato.

Qualche anno dopo ho avuto la fortuna di incontrare don Giuseppe Dossetti, proprio colui che convinse l’Assemblea Costituente a impostare la Carta costituzionale sul primato della persona. E Dossetti lanciò un allarme per il rischio di stravolgimento della Costituzione, che si stava profilando sull’orizzonte della politica di venti anni fa. E non si sbagliava. In una lettera esortava tutti i cittadini a costituire in ogni città, paese, frazione e quartiere Comitati per la difesa della Costituzione.
Da allora quella Carta mi è diventata sempre più cara, amica e compagna di strada, presidio sicuro contro ogni inganno e ogni asservimento, come ebbe a dire Dossetti ai giovani. Ho cercato di conoscerla, di comprenderla in profondità, di coglierne il senso complessivo, di trovarvi le motivazioni più radicate.
A spingermi in questa ricerca è stato un altro grande maestro: il giudice Antonino Caponnetto. Invitato a parlare della giustizia, tenne un’indimenticabile lezione sulla Costituzione.
Così, seguendo alcuni fili che emergevano dalla matassa corposa della Costituzione, ho potuto toccare con mano la saggezza dei nostri nonni e padri Costituenti. Basta leggere qualche frase dei vari Dossetti, La Pira, Moro, Calamandrei, Scoca, Ruini, Basso e tanti altri per coglierne la saggezza e l’ampiezza di vedute. Facendo un confronto con la classe politica contemporanea, che vorrebbe riformare la Costituzione, è evidente che li separa un abisso incolmabile. Non c’è paragone, anzi non c’è storia.
Negli ultimi anni mi hanno chiesto di tenere conferenze sulla Costituzione, soprattutto nelle scuole. Lo sto facendo volentieri, poiché colgo l’impreparazione di alcuni ma anche la voglia di apprendere di molti giovani. Raccontare e spiegare la Costituzione può sembrare una lezione noiosa, ma non è così. Per me la Costituzione è diventata una vera passione e cerco di trasmetterla ai ragazzi e alle ragazze. Non so se ci riesco, ma almeno ci provo. Ho bene in mente l’obiettivo che ci ha insegnato il più grande maestro che l’Italia ha avuto nel dopoguerra, don Lorenzo Milani: far diventare i ragazzi sovrani. La Costituzione è un forte strumento di presa di coscienza e di liberazione. Si può usare come metro di giudizio e criterio fondamentale per prendere decisioni.
Oggi io non potrei farne a meno. Lì dentro in quella Carta ci sono i principali attrezzi del mestiere per chi non voglia oziare politicamente, socialmente, economicamente e culturalmente.
Il 25 aprile 2014 abbiamo stampato un cartello per ogni articolo della Costituzione e l’abbiamo portato nelle strade, perché è lì anzitutto che la Costituzione deve vivere e svolgere il proprio ruolo. Mettendo insieme le idee e le forze di tanti amici, scuole, associazioni, che hanno “adottato” un articolo della Carta, è nata “La Costituzione in piazza”. Tra le tante iniziative realizzate in questi anni è sicuramente una delle più riuscite. Perché la Costituzione è davvero madre e figlia di noi tutti. È un patto tra le generazioni, per tenere alta la dignità delle donne e degli uomini. È stato scritto con il sangue e con la sofferenza di tanti che con coraggio si sono sacrificati perché potessimo godere di questo bene comune. Che dovremmo conservare con più cura.
Non c’è retorica nell’ultima lettera agli amici scritta dal partigiano Giacomo Ulivi, 19 anni, prima di essere ucciso in un carcere fascista nel 1944: “Qui sta la nostra colpa, io credo: come mai, noi italiani, con tanti secoli di esperienza, usciti da un meraviglioso processo di liberazione, in cui non altri che i nostri nonni dettero prova di qualità uniche in Europa, di un attaccamento alla cosa pubblica, il che vuol dire a sé stessi, senza esempio forse, abbiamo abdicato, lasciato ogni diritto, di fronte a qualche vacua, rimbombante parola? Che cosa abbiamo creduto? Creduto grazie al cielo niente ma in ogni modo ci siamo lasciati strappare di mano tutto, da una minoranza inadeguata, moralmente e intellettualmente.” Parole che sembrano scritte oggi, come succede sempre a chi sa guardare oltre l’orizzonte della propria angusta prospettiva, come sa fare chi lotta per un mondo più giusto e solidale.
Abbiamo una Costituzione che non è soltanto un elenco di principi fondamentali, una compilazione di diritti e di doveri, un’impalcatura istituzionale. La Costituzione è anche un programma da attuare, perché il più debole non venga calpestato. È uno scudo contro i soprusi, un appoggio che ci può sostenere, una corda per intrecciare legami. La Costituzione impone il dovere inderogabile della solidarietà. Che non è un lusso, ma il fondamento autentico di una comunità.
C’è ancora molto da imparare e da fare. E sempre nella lettera agli amici Giacomo Ulivi scrive:  “Ma soprattutto, vedete, dobbiamo fare noi stessi: è la premessa per tutto il resto”.