La restaurazione fiscale

La restaurazione fiscale

Bergamo, 8 Dicembre 2014 | di Rocco Artifoni

La restaurazione fiscale

Tornare indietro di 166 anni: è questa la proposta di Matteo Salvini e di Silvio Berlusconi, che propongono una “flat tax”, cioè un’aliquota fiscale unica del 20%.
Infatti la tassazione proporzionale era stata inserita nell’art. 25 dello Statuto Albertino approvato il 4 marzo 1848: «Essi (cioè i cittadini) contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato».
Quasi cento anni più tardi, il 23 maggio 1947, l’Assemblea Costituente elaborò il testo dell’art. 53 della Costituzione Repubblicana tuttora vigente: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».

Il passaggio dall’imposizione proporzionale a quella progressiva venne argomentato in sede Costituente da Salvatore Scoca: «Se poi consideriamo che più dei tributi diretti rendono i tributi indiretti e questi attuano una progressione a rovescio, in quanto, essendo stabiliti prevalentemente sui consumi, gravano maggiormente sulle classi meno abbienti, si vede come in effetti la distribuzione del carico tributario avvenga non già in senso progressivo e neppure in misura proporzionale, ma in senso regressivo. Il che costituisce una grave ingiustizia sociale, che va eliminata, con una meditata e seria riforma tributaria.  (…) Credo necessario che si inserisca nella nostra Costituzione, in luogo del principio enunciato dall’articolo 25 del vecchio Statuto, un principio informato a un criterio più democratico, più aderente alla coscienza della solidarietà sociale e più conforme alla evoluzione delle legislazioni più progredite. La regola della progressività deve essere effettivamente operante. Ciò significa che la progressione applicata ai tributi sul reddito globale o sul patrimonio dev’esser tale da correggere le iniquità derivanti dagli altri tributi, ed in particolare da quelli sui consumi».

I Costituenti erano preoccupati che la progressività delle imposte sui redditi non bastasse a compensare la proporzionalità delle tasse sui consumi, a tal punto che il sistema tributario rischiava di essere regressivo. La posizione di Scoca, relatore dell’art. 53, fu accolta da tutti e approvata:  «Se ciò faremo, potremo potenziare l’imposta progressiva sul reddito e farla diventare la spina dorsale del nostro sistema tributario. Con l’alleggerire la pressione delle imposte proporzionali, che colpiscono separatamente le varie specie di redditi, avremo margine per colpire unitariamente e progressivamente il reddito globale».

L’obiettivo dei Costituenti era chiaro: limitare al minimo le imposte proporzionali per potenziare quelle progressive, vera “spina dorsale” del sistema tributario.

Purtroppo nei successivi decenni abbiamo assistito all’attuazione di politiche fiscali con un’impostazione rovesciata. L’imposta sui consumi (proporzionale) è quasi raddoppiata (l’IVA è salita dal 12% al 22%), mentre le aliquote fiscali sui redditi sono diventate sempre meno progressive (dai 62 punti di differenza tra l’aliquota pià alta e quella più bassa agli attuali 20 punti in percentuale).

Non stupisce, di conseguenza, che oggi si arrivi a proporre un’aliquota “piatta”, non più progressiva. Matteo Salvini dice chiaramente che si tratterebbe di una tassa “uguale per tutti, per ricchi e poveri”. Ma gli studenti della scuola di Barbiana sapevano bene che “non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”. Silvio Berlusconi va oltre:  «Vogliamo cancellare il complicatissimo sistema attuale di aliquote differenti, di deduzioni, di detrazioni e sostituirlo con un’aliquota unica del 20%». Proprio le deduzioni e le detrazioni, oltre alle differenti aliquote, sono gli strumenti fiscali per tener conto del carico familiare del contribuente e di alcune spese necessarie. Una questione ben presente ai Costituenti e in particolare a Salvatore Scoca:  «Non si può negare che il cittadino, prima di essere chiamato a corrispondere una quota parte della sua ricchezza allo Stato, per la soddisfazione dei bisogni pubblici, deve soddisfare i bisogni elementari di vita suoi propri e di coloro ai quali, per obbligo morale e giuridico, deve provvedere. Da ciò discende pure che debbono essere tenuti in opportuna considerazione i carichi di famiglia del contribuente. Sono, questi, aspetti caratteristici di quella capacità contributiva, che si pone a base della imposizione».

Sia Salvini che Berlusconi definiscono “rivoluzionaria” la proposta della “tassazione unica”. In effetti, se attuata, sarebbe in assoluto contrasto con l’art. 53 della Costituzione. D’altra parte è evidente che si tratta di una proposta che sarebbe più corretto definire di “restaurazione”, poiché vorrebbe ripristinare di fatto l’impostazione fiscale dello Statuto Albertino, che i Costituenti avevano decisamente superato.

È ancora Scoca che ci spiega le motivazioni che hanno portato a scegliere il criterio della progressività: «Non si può negare che una Costituzione la quale, come la nostra, si informa a principi di democrazia e di solidarietà sociale, debba dare la preferenza al principio della progressività. Ho sempre pensato che chi ha dieci mila lire di reddito e ne paga mille allo Stato, con l’aliquota del 10 per cento, si troverà con 9 mila lire da impiegare per i suoi bisogni privati; mentre chi ne ha centomila, dopo aver pagato l’imposta del 10 per cento in base alla stessa aliquota, si troverà con una disponibilità di 90 mila lire. È ovvio che per pagare l’imposta il primo contribuente sopporta un sacrificio di gran lunga maggiore del secondo, e che sarebbe equo alleggerire l’aggravio del primo e rendere un po’ meno leggero quello del secondo».

Tutto ciò ha senso nella prospettiva di una Costituzione che “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2) e nel contesto di una Repubblica che si pone il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3).

Oggi, chi propone l’abolizione del criterio della progressività, vuole rompere il Patto Costituzionale, ignorando palesemente l’art. 54: «Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge».

Chi invece pensa che la Carta Costituzionale rappresenti il fondamento della nostra convivenza sociale ha il dovere e la responsabilità di contrastare questi progetti di restaurazione. La vera rivoluzione sarebbe l’attuazione della Costituzione. Come ci ha ricordato quasi 60 anni fa il Costituente Piero Calamandrei: «La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità».

Giuseppe Dossetti, uno dei padri della nostra Costituzione, 20 anni fa lanciò un appello: «è necessaria la sollecita promozione, a tutti i livelli, dalle minime frazioni alle città, di comitati impegnati e organicamente collegati, per una difesa dei valori fondamentali espressi dalla nostra Costituzione: comitati che dovrebbero essere promossi non solo per riconfermare ideali e dottrine, ma anche per un’azione veramente fattiva e inventivamente graduale, che sperimenti tutti i mezzi possibili, non violenti, ma sempre più energici, rispetto allo scopo che l’emergenza attuale pone categoricamente a tutti gli uomini di coscienza». Parole di profonda validità e di estrema attualità.